Good news per i brand del lusso. La Corte di Giustizia europea ha infatti stabilito la liceità di clausole contrattuali che vietano ai rivenditori appartenenti ad un sistema di distribuzione selettiva di rivendere i prodotti su piattaforme e-commerce terze, come ad esempio Amazon (C230/2016 Coty).
Si tratta di un’interpretazione di notevole impatto nel settore della distribuzione online. Di fatto essa concede ai brand del lusso la possibilità di imporre contrattualmente ai loro rivenditori autorizzati di rivendere i prodotti solo attraverso “negozi vetrina” di loro proprietà, la cui immagine sia conforme agli standard ritenuti idonei per preservare l’aura di lusso e di prestigio di prodotti.
Com’è noto, per il principio dell’esaurimento comunitario (artt. 5 Codice Proprietà Industriale e 15 Regolamento sul Marchio dell’Unione Europea 1001/2017), il titolare del marchio non può opporsi alla circolazione dei prodotti che egli stesso ha messo commercio nel territorio dello Stato o nello Spazio economico europeo né vietare a terzi che abbiano acquistato tali beni di rivenderli o pubblicizzarli liberamente sul mercato interno o comunitario.
Le linee guida allegate al Reg. 330/2010 in tema di accordi verticali prescrivono che non possono essere oggetto di restrizioni le vendite di prodotti effettuate attraverso la rete Internet
Il principio dell’esaurimento subisce un importante eccezione nel caso della distribuzione c.d. selettiva.
L’esaurimento infatti non opera quando il titolare abbia “motivi legittimi” per opporsi all’ulteriore commercializzazione del prodotto con il suo marchio. Secondo la giurisprudenza comunitaria, tra tali motivi può rientrare l’esistenza di un sistema di distribuzione selettiva nel caso in cui la vendita dei prodotti da parte di soggetti non appartenenti alla rete potrebbe compromettere il prestigio e l’aura di lusso dei prodotti oggetto di commercializzazione.
Nello specifico, la giurisprudenza comunitaria (C-59/08, Copad) ha chiarito che il prodotto commercializzato deve essere un articolo di lusso o di prestigio che legittimi le scelta di attuare una distribuzione selezionata. Per prodotti di prestigio si intendono, secondo il Tribunale di Milano, caso Chanel, 12 Gennaio 2016, i prodotti le cui qualità non risultano soltanto dalle loro caratteristiche materiali, ma anche dallo stile e dall’immagine di prestigio che conferisce loro un’aura di lusso, tale da consentire ai consumatori di distinguerli da altri prodotti simili.
Il regolamento 330/2010 definisce la “distribuzione selettiva” come il sistema con il quale “il fornitore si impegna a vendere i beni o servizi oggetto del contratto, direttamente o indirettamente, solo a distributori selezionati sulla base di criteri specificati e nel quale questi distributori si impegnano a non vendere tali beni o servizi a rivenditori non autorizzati nel territorio che il fornitore ha riservato a tale sistema”(Art. 1 lett. e) Reg. UE 330/2010).
La giurisprudenza della Corte di Giustizia ha da tempo stabilito che i prodotti di lusso, in considerazione delle loro caratteristiche e della loro natura, possono effettivamente richiedere l’attuazione di un sistema di distribuzione selettiva che abbia lo scopo di preservarne la qualità e di garantirne l’uso corretto. Perché il sistema non contrasti con il divieto stabilito dall’articolo 101, paragrafo 1, TFUE la scelta dei rivenditori deve avvenire secondo criteri qualitativi e non discriminatori ed occorre che i prodotti effettivamente richiedano l’esistenza di un sistema distributivo selettivo al fine di preservarne la qualità e l’uso corretto (C‑439/09, caso Pierre Fabre).
Come affermato nel caso Copad (C‑59/08) “l’organizzazione di un sistema di distribuzione selettiva … che ha lo scopo…. di assicurare una presentazione che valorizza i prodotti nel punto vendita, «in particolare per quanto riguarda la posizione, la promozione, la presentazione dei prodotti e la politica commerciale» può contribuire … alla notorietà dei prodotti di cui trattasi e quindi a salvaguardare la loro aura di lusso. Ne consegue che non può escludersi che la vendita di prodotti di prestigio da parte del licenziatario a terzi che non fanno parte della rete di distribuzione selettiva comprometta la qualità stessa di tali prodotti …”. (p. 29 e 30).
Come detto, il Reg. 330/2010 e in particolare le guidelines ad esso allegate precisano che le vendite di prodotti attraverso Internet devono considerarsi “vendite passive” ai sensi del Regolamento e, in quanto tali, non posso essere oggetto di restrizioni da parte del fornitore dei prodotti.
“In linea di principio, a qualsiasi distributore deve essere consentito di utilizzare Internet per vendere prodotti. In generale, l’esistenza di un sito Internet è considerata una forma di vendita passiva in quanto si tratta di un modo ragionevole di consentire ai clienti di raggiungere il distributore […] Una restrizione dell’uso di Internet imposta alle parti distributrici dell’accordo è compatibile con il regolamento di esenzione per categoria solo se le promozioni via Internet o l’uso di Internet determinassero vendite attive, ad esempio, nei territori o ai gruppi di clienti esclusivi di altri distributori” (p. 52 e 53).
Vi sono, però, alcune eccezioni. In particolare, come per i negozi fisici, il fornitore di prodotti di lusso commercializzati attraverso un sistema di distribuzione selettiva può richiedere che anche i negozi online rispettino determinati standard qualitativi allorché tali standard abbiano lo scopo di preservare l’aura di lusso e contribuire alla notorietà dei prodotti (“Tuttavia, nel quadro dell’esenzione per categoria il fornitore può̀ esigere il rispetto di standard qualitativi in relazione all’uso di siti Internet per la rivendita dei suoi beni, così come può̀ farlo in relazione ad un punto vendita o alla vendita via catalogo o all’attività̀ pubblicitaria e promozionale in generale. Ciò̀ può̀ essere rilevante, in particolare, per la distribuzione selettiva […] Analogamente, un fornitore può̀ richiedere che i propri distributori utilizzino piattaforme di terzi per distribuire i prodotti oggetto del contratto esclusivamente in conformità̀ delle norme e condizioni concordate tra il fornitore ed i suoi distributori per l’utilizzo di Internet da parte di questi ultimi.” (p. 54).
In tale contesto, con la decisione Coty del 6 Dicembre 2017, la Corte di Giustizia ha affermato che sono astrattamente valide le clausole che vietano agli appartenenti a un sistema di distribuzione selettiva la commercializzazione dei prodotti su piattaforme Internet “riconoscibili” di terzi, come ad esempio Amazon.
Il caso sottoposto all’esame della Corte aveva ad oggetto il contratto intercorrente tra Coty Germany e Parfümerie Akzente, rivenditore autorizzato da Coty a commercializzare i prodotti cosmetici di lusso di Coty attraverso punti vendita fisici e via Internet. Nel caso di specie, Parfümerie Akzente vendeva i prodotti non solo attraverso il proprio shop on line ma anche attraverso la piattaforma terza amazon.de.
Il contratto Coty/Parfümerie Akzente prevedeva che i punti vendita “fisici” del rivenditore rispettassero alcuni requisiti in relazione all’allestimento, all’arredamento interno, alla illuminazione, alla superficie di vendita, alla presentazione dei prodotti. Inoltre, il contratto precisava che «la denominazione dei punti vendita, che si tratti del nome dell’impresa o di denominazioni aggiuntive o slogan della ditta, non può dare l’impressione di una gamma di scelta limitata, di dotazioni di bassa qualità o di una consulenza carente e deve essere inoltre apposta in modo tale da non coprire le decorazioni e gli spazi di esposizione del depositario».
In seguito all’entrata in vigore del Reg. 330/2010, Coty chiedeva a Parfümerie Akzente di sottoscrivere un accordo aggiuntivo sule vendite online ai sensi del quale Parfümerie sarebbe stata autorizzata a proporre e a vendere via Internet, ma a condizione la vendita online fosse “realizzata tramite una “vetrina elettronica” del negozio autorizzato” e in odo che venisse “preservata la connotazione lussuosa dei prodotti”. L’accordo vietava espressamente l’utilizzo di un’altra denominazione commerciale nonché l’intervento riconoscibile di un’impresa terza che non fosse un rivenditore autorizzato Coty.
Parfümerie Akzente si rifiutava di sottoscrivere le modifiche apportate al contratto di distribuzione selettiva ed il caso, in seguito al rinvio operato dal giudice nazionale, veniva sottoposto all’attenzione della Corte di Giustizia.
Con decisione del 6 Dicembre 2017 la Corte ha anzitutto ribadito la compatibilità dei sistemi di distribuzione selettiva dei prodotti di lusso e di prestigio con l’articolo 101, paragrafo 1, TFUE, allorchè il sistema sia finalizzato primariamente a garantire un’“immagine di lusso” dei suddetti prodotti “a condizione che la scelta dei rivenditori avvenga secondo criteri oggettivi d’indole qualitativa, stabiliti indistintamente per tutti i potenziali rivenditori e applicati in modo non discriminatorio, e che i criteri definiti non vadano oltre il limite del necessario” (C-230-16 p. 36).
Quindi, esaminando la clausola oggetto di discordia, la Corte di Giustizia ha affermato che è legittima una clausola che vieti la vendita online di prodotti di lusso tramite piattaforme terze che operino in modo riconoscibile nei confronti dei consumatori, qualora la clausola sia diretta a salvaguardare l’immagine di lusso di detti prodotti, sia stabilita indistintamente e sia applicata in modo non discriminatorio e proporzionato rispetto all’obiettivo perseguito.
E ciò per una serie di ragioni. Anzitutto, perché -a dire della Corte- “l’obbligo imposto ai distributori autorizzati di vendere su Internet i prodotti oggetto del contratto solo attraverso i propri negozi online e il divieto per detti distributori di fare uso di un’altra denominazione commerciale, nonché di servirsi in modo riconoscibile di piattaforme terze, garantiscono immediatamente al fornitore che, nell’ambito del commercio elettronico di tali prodotti, questi ultimi siano ricollegati unicamente ai distributori autorizzati” (p. 44), ciò che può contribuire a conservare la qualità e l’immagine di lusso dei prodotti in parola.
In secondo luogo, perché una clausola di tal genere, consentendo al fornitore di prodotti di lusso “di controllare che tali prodotti saranno venduti online in un ambiente corrispondente alle condizioni qualitative che esso ha concordato con i suoi distributori autorizzati”, gli consente di mantenere il controllo sulla rispondenza del negozio virtuale ai criteri di qualità e immagine di lusso e prestigio dei prodotti (p. 48).
Invero, prosegue la Corte, se il rivenditore potesse vendere attraverso piattaforme terze, la mancanza di accordi diretti con tali piattaforme impedirebbe al fornitore dei beni di lusso di esigere il rispetto dei requisiti qualitativi cui al contrario invece vincolati i suoi distributori autorizzati. Tale circostanza “determina il rischio di uno scadimento della presentazione di detti prodotti su Internet, idoneo a nuocere alla loro immagine di lusso e, quindi, alla loro stessa natura” (p. 49).
La circostanza che i prodotti di lusso possano essere acquistati solo presso i rivenditori autorizzati contribuisce a mantenere l’immagine di lusso del prodotto presso i consumatori; mentre, al contrario, sulle piattaforme di terzi vengono venduti vari tipi di prodotti ma non prodotti di lusso .
La clausola di Coty non vieta in via assoluta ai distributori autorizzati di vendere su Internet i prodotti oggetto del contratto attraverso i propri shop online ma solo di venderli tramite piattaforme terze che operino in modo riconoscibile nei confronti dei consumatori. Il divieto non si spinge oltre il limite di quanto necessario dal momento che, come rilevato dalla Corte, “nonostante la crescente importanza di piattaforme terze nella commercializzazione di prodotti di distributori, il canale di distribuzione principale, nell’ambito della distribuzione su Internet, è tuttavia rappresentato dai negozi online di proprietà dei distributori, che sono utilizzati da oltre il 90% dei distributori interpellati”.
Tutti questi elementi consentono ai giudici comunitari di affermare la legittimità astratta (la legittimità in concreto dovrà essere verificata dal giudice nazionale) di divieti come quello previsto da Coty e che appaiono finalizzati a salvaguardare l’immagine di lusso dei prodotti. In particolare, afferma la Corte, l’art. 101, paragrafo 1, TFUE deve essere interpretato nel senso che lo stesso “non osta a una clausola contrattuale, come quella di cui al procedimento principale, che vieta ai distributori autorizzati di un sistema di distribuzione selettiva di prodotti di lusso finalizzato, primariamente, a salvaguardare l’immagine di lusso di tali prodotti, di servirsi in maniera riconoscibile di piattaforme terze per la vendita a mezzo Internet dei prodotti oggetto del contratto, qualora tale clausola sia diretta a salvaguardare l’immagine di lusso di detti prodotti, sia stabilita indistintamente e applicata in modo non discriminatorio, e sia proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito, circostanze che spetta al giudice del rinvio verificare” (p. 58).
Infine, la Corte ha affermato anche una clausola come quella prevista da Coty non appare idonea a “restringere la clientela” a cui i distributori autorizzati possono vendere i prodotti di lusso né a “restringere le vendite passive” dei distributori autorizzati agli utenti finali, ciò che sarebbe vietato a norma dell’art. 4 lett b) e c) del Reg. 330/2010, dal momento che, come verificato dalla Corte, il contratto permetteva ai distributori di fare pubblicità via Internet su piattaforme terzi e di utilizzare motori di ricerca online, consentendo in questo modo ai consumatori di trovare l’offerta Internet dei distributori autorizzati.
Come dimostrano i siti web e gli shop on line dei principali brand, anche attraverso il web è possibile trasmettere un’immagine di lusso e proporre la consumatore un’esperienza coerente con quella proposta nei punti vendita fisici dei prodotti. Mi pare che questa sia, anzi, una delle tendenze più evidenti dell’ultimo decennio.
Se oggi nessuno pensa più che su Internet siano presenti solo prodotti scontati o a buon mercato, lo si deve anche alla visione di alcuni importanti player come i grandi gruppi del fashion e Net-a-porter che hanno saputo imporre la loro visione di lusso anche nella dimensione online.
I grandi brand sono ben attenti a proporre shop online in linea con la loro identità e immagine: il lusso non è per tutti e non si vende ovunque, ça va sans dire. E la Corte ha dimostrato di essere consapevole della trasformazione dei modelli distributivi su Internet e soprattutto del fatto che una presentazione scadente su Internet possa finire per incidere negativamente sulla qualità stessa dei prodotti di lusso, vanificando gli sforzi e gli investimenti del titolare del marchio.