Liberalizzazione delle aperture domenicali

L’apertura degli esercizi commerciali nelle giornate domenicali e festive è oggetto, oramai da un oltre un decennio, di un acceso dibattito, sia a livello politico sia a livello giurisprudenziale, soprattutto a seguito dell’entrata in vigore del Legge Bersani (d. lgsl. 114/98) che avrebbe dovuto “liberalizzare” la materia del commercio. In particolare, gli artt. 11, 12 e 13 della legge disciplinano gli orari di apertura degli esercizi di vendita al dettaglio. Tali articoli, a dispetto del fine di “liberalizzazione” previsto dalla legge, prevedono tuttavia per i commercianti un generale obbligo di chiusura domenicale e festiva, riconoscendo a ciascun comune il (limitato) potere discrezionale di prevedere delle deroghe in relazione a particolari giorni dell’anno o a zone del territorio (ad esempio i centri storici). Con riferimento alle domeniche, la legge limita a sole otto domeniche il potere discrezionale dei comuni, fatta salva la possibilità di tenere aperto durante le domeniche e le giornate festive del mese di dicembre. In particolare, ai sensi dell’articolo 11, comma 5,: “Il comune […] individua i giorni […] nei quali gli esercenti possono derogare all’obbligo di chiusura domenicale e festiva. Detti giorni comprendono comunque quelli del mese di dicembre, nonché ulteriori otto domeniche o festività nel corso degli altri mesi dell’anno”. La legge Bersani prevede poi un ulteriore deroga, orientata ad una più ampia (e auspicabile) liberalizzazione, ossia quella che concede ai commercianti i cui negozi sono situati in comuni a prevalente economia turistica e nelle città d’arte di determinare sempre e liberamente gli orari e le giornate di apertura e di chiusura. In questo modo, la legge determina una, per certi versi inspiegabile, differenziazione tra città “d’arte”, e quindi con negozi aperti, e città che, seppur limitrofe, non sono considerate d’arte, e che dunque debbono sopportare la chiusura delle serrande e la diaspora domenicale dei cittadini – clienti, che trasferiscono altrove i loro consumi. Tale differenza è stata ribadita dal recente intervento del legislatore che nel luglio 2011 ha previsto “in via sperimentale” la soppressione del limite di chiusura domenicale per gli esercizi ubicati “nei comuni inclusi negli elenchi regionali delle località turistiche o città d’arte” (l. 15 luglio 2011 n. 111). Le regioni e gli enti locali dovranno adeguarsi a questa disposizione entro il 1 gennaio 2012. Una liberalizzazione globale è stato ipotizzata nella manovra di Ferragosto(DL 138/2011), ma la legge di conversione (148/2011) ha ribadito la soppressione del limite di chiusura solo per gli esercizi ubicati nei comuni inclusi negli elenchi di cui sopra. E’ evidente che il tema degli orari di apertura degli esercizi di vendita al dettaglio ha importanti implicazioni sull’assetto concorrenziale e sul buon funzionamento del mercato, che costituiscono, allo stesso tempo, principi generali e obiettivi fondamentali della Comunità Europea e che, pertanto, non possono essere sacrificati se non in vista della tutela di interessi di pari rango, e solo nella misura strettamente indispensabile a tal fine. Questa almeno l’impostazione dell’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato italiana la quale ha più volte sottolineato come i vincoli all’apertura inibiscano l’adozione di strategie differenziate da parte dei negozianti, traducendosi in un ostacolo alla concorrenza e, conseguentemente, in un danno per i consumatori (v. comunicato stampa AGCM del 5 aprile 2008 n.7 e segnalazione AGCM AS438 del 31 marzo 2008.) Tali considerazioni hanno portato i giudici italiani, in particolare i T.A.R. e il Consiglio di Stato, a compiere negli ultimi anni, notevoli sforzi interpretativi orientati a mantenere le norme in materia di aperture domenicali e festive contenute nella legislazione statale nel solco previsto dalla Costituzione e dalla normativa comunitaria. Di recente, si è dunque assistito a talune pronunce che hanno dichiarato l’illegittimità, per contrasto con il diritto comunitario, di provvedimenti delle pubbliche amministrazioni restrittivi nei confronti delle aperture domenicali (es. Tar Puglia 1386/2010, Tar Abruzzo 77/2011, Tar Marche 228/2011). Il risultato di tali pronunce è che commercianti-ricorrenti come Auchan, Zara, Oviesse hanno potuto mantenere le previste aperture domenicali, con notevoli benefici in termini di fatturato e garanzia del livello occupazionale. Il Tar Abruzzo, accogliendo le ragioni di alcuni iper, tra cui Carrefour, ha sospeso l’ordinanza 27/2010 dell’assessore al Commercio del Comune de L’Aquila, con la quale è stato adottato il calendario delle aperture domenicali e festive per l’anno 2011, impedendone l’applicazione sino all’esito del giudizio di merito. Si tratta, evidentemente, di precedenti importanti che aprono la strada a nuove interpretazioni in senso più liberale delle normative in vigore (anche se persistono pronunce in senso contrario, come quelle di TAR Veneto 135 e 137/2010 che hanno dato torto all’outlet Mc Arthur-Glen) e che debbono incoraggiare gli operatori commerciali a reagire giudiziariamente di fronte ad ordinanze o a disposizioni palesemente in contrasto con la normativa comunitaria o costituzionale. Secondo le survey più autorevoli, infatti, gli ultimi tre giorni della settimana (venerdì, sabato e domenica) possono arrivare a rappresentare tra il 40 e il 50% dell’incasso settimanale di un supermercato/superstore. Un rapporto di ricerca dell’Università Bocconi commissionato da Federdistribuzione (www. Federdistribuzione.it) calcola che nel caso di raddoppio delle aperture domenicali/festive, dalle 16 del dato medio attuale a 32, i consumi commercializzabili delle aree food e non-food crescerebbero complessivamente di 3,96 miliardi di euro, pari a un incremento dell’1,79%.

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Studio Scarpellini Naj-Oleari & Associati

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